il valore dei ricordi
All’inizio degli anni 2000 – ebbene sì ormai vent’anni fa – alla domanda “e tu, che lavoro fai?” rispondere “sono un artigiano orafo” non era per niente popolare e il più delle volte suscitava un po’ di tenerezza, quasi fossi una specie in via di estinzione con i giorni contati. Un ragazzo giovane che, per chissà quale mancanza, non aveva saputo stare al passo con i tempi e trovarsi un lavoro meno “polveroso”.
Mentre intorno a me aumentavano i designer, aprivano decine di concept stores e la gente impazziva per i gioielli in acciaio, io passavo le giornate in laboratorio, con mio papà, a fare riparazioni per negozianti e clienti. Proprio così, riparazioni. Quello è stato a lungo il mio compito.
Mi piaceva? Assolutamente no.
Mi è servito? Più di qualsiasi scuola.
Saper riparare un gioiello per un artigiano orafo è fondamentale. Presuppone una conoscenza reale del mestiere, dei materiali e una totale confidenza con l’oggetto che si è creato.
Quando parlo di riparazioni mi riferisco anche ad una semplice messa a misura di un anello, e in senso più largo, può comprendere la trasformazione di un gioiello in un altro utilizzando l’oro o le pietre di famiglia.
Riparare è un atto rivoluzionario
vuol dire far rivivere ciò a cui teniamo, e, nello stesso tempo, contribuire a creare un’economia sostenibile fatta di continuità e ricordi.
Da qualche tempo, il panorama è finalmente cambiato. Complice la facilità con la quale si può far conoscere le proprie creazioni online, essere artigiano è diventato (o tornato ad essere, dipende dai punti di vista) improvvisamente un mestiere ricercato, che suscita interesse e, perché no, popolarità.
I marketplace digitali straripano di artigiani orafi, sui social l’handmade associato ai gioielli va fortissimo, e la parola unicità è a dir poco abusata.
Ma. Ecco arrivare il MA tanto atteso. Se da una parte non potrei essere più felice e compiaciuto dello status riconquistato dall’artigianato, dall’altro ho il grandissimo timore che si stia lasciando indietro l’aspetto più prezioso di questo mestiere.
Il suo lato rivoluzionario.
A farmi riflettere in questo senso è stato l’aumento significativo di persone che mi contattano per chiedermi di riparare gioielli realizzati da altri “artigiani orafi”.
Non parlo di gioielli acquistati in una qualsiasi gioielleria o di “famiglia” che necessitano di un intervento, questo è sempre capitato, ma gioielli acquistati online da handmakers stranieri e italiani per i quali non è prevista un’assistenza adeguata.
Si tende a creare, ma non si sa come riparare in caso sia necessario mettere mano al gioiello in un secondo momento. E questo per il cliente è sconfortante.
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Faccio un esempio su tutti che è mi capitato qualche giorno fa:
Ho allargato un anello di fidanzamento bello e ben realizzato, che è stato pubblicizzato evidenziandone il valore dell’unicità, ma per il quale è stata proposta una sostituzione al posto di una semplice messa a misura, sostenendo che il fuoco avrebbe rovinato la pietra.
Alt. Fermi tutti
In un attimo mi sono tornati alla mente gli insegnamenti e le parole, non solo di mio papà, ma anche degli orafi con più esperienza di me che orbitavano (e orbitano tutt’ora) in laboratorio e da cui puntualmente venivo bacchettato: “prima impara i fondamentali del mestiere, e poi pensa ai virtuosisimi” e ancora “creare qualche cosa che non si può riparare è inaccettabile”…
Se con orgoglio, passione e convinzione alla domanda “e tu, che lavoro fai?” rispondete “sono un artigiano orafo” allora, credetemi, siete dei rivoluzionari e in quanto tali abbiamo il dovere di difendere questo mestiere e la sua tradizione, partendo dai fondamentali.
P.S. Nella foto copertina uno dei miei primissimi lavori, ero estasiato dalla sua perfezione. L’ho scelto non a caso. Fu, infatti, un bellissimo virtuosismo dei miei esordi… che mio padre riparò più volte. Ecco.
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